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Vernazza e le Cinque Terre: una DOC sospesa tra cielo e mare

Vernazza e le Cinque Terre: una DOC sospesa tra cielo e mare

Certe mattine di Settembre, a Vernazza, l’aria si tinge di rosa, il cielo è terso e il mare è piatto come una tavola. E’ in giornate come queste che inizia, oggi come in passato, la vendemmia. Il mito racconta che un gigante, furente, scagliò la sua spada creando una ferita nella roccia. Sulle pareti scoscese gli abitanti costruirono case dai tetti di ardesia, abbarbicate sulla pietra, una sull’altra come in un presepe. Crearono, dal nulla, strade strette dagli alti scalini ed una chiesa, unica per la presenza del campanile sul presbiterio, che posava le sue fondamenta proprio sul mare. E’ così che appare oggi il paese a chi arriva dal mare, una mano che abbraccia le onde che la circondano, un miracolo costruito nei secoli dall’uomo che ha stretto un patto con una natura a volte avversa e crudele, ma che premia chi la ama e si prodiga.

Quando i primi abitanti arrivarono nelle Cinque Terre dalla Val di Vara, dopo la fine delle incursioni dei Saraceni, per cercare un posto in cui vivere, trovarono un riparo sicuro e un clima mite, pendii sassosi a volte ripidissimi, ma niente terra da coltivare. Così decisero di portarcela e per far sì che ci restasse costruirono, cesellando ogni pietra, muretti a secco che la sostenessero. Ogni tanto una pioggia troppo forte erodeva il terreno trascinando in mare tutte le loro fatiche, ma non c’era tempo per disperarsi e l’uomo rimetteva mano a ciò che già aveva fatto. 11.000…. tanti sono i chilometri di muretti a secco che si reputa siano stati costruiti, con orgoglio, amore e dedizione, tra costruzioni e ricostruzioni, dagli uomini delle Cinque Terre.

Fino a qualche decennio fa, la gente partiva per la vendemmia con le ceste appoggiate alla schiena o in bilico sulla testa e doveva fare lunghe camminate per arrivare alla vigna. Sotto la pergola raccoglievano l’uva, sdraiati sul terreno. Nelle cantine qualcuno pigiava ancora gli acini con i piedi e le risate e le voci si confondevano nella penombra mentre profumo del mosto invadeva l’aria. I grappoli migliori venivano appesi a fili che venivano tirati, da un muro all’altro delle case, sotto il soffitto e qui, fino a dicembre appassivano circondati dalle vespe inebriate dal profumo. Quando lo Sciacchetrà era pronto, i vecchi lo imbottigliavano e lo riponevano, perché maturasse, negli angoli migliori della cantina, dove l’aria era più asciutta e la temperatura più giusta. Lì riposavano a volte anche per 10 o 15 anni aspettando un’occasione speciale ( un matrimonio o un battesimo) per essere stappati.

liguria5Ora qualcosa è cambiato. Le monorotaie hanno reso il lavoro più leggero e le pergole sono state sostituite, nei nuovi impianti, da un sistema a spalliera con filari orientati sulle curve di livello che permette un lavoro più agevole. Laddove permane la pergola bassa, metodo di allevamento che ha radici in quella che Columella chiamava “vitis proiectis per humum” (viti gettate sul terreno), la manutenzione e le pratiche colturali diventano davvero impegnative. 

La DOC Cinque Terre e Cinque Terre Sciacchetrà si estende nei comuni di Vernazza, Monterosso, Manarola e Riomaggiore e copre anche il territorio di Corniglia e parte del comune di La Spezia nei territori di Tramonti di Biassa e Tramonti di Campiglia, includendo tre sottozone “Costa de Sera”, “Costa da Posa“ e “Costa da Campo”. E’ caratterizzata da terreni a base acida e a basso contenuto in calcare attivo che presentano una buona concentrazione di microelementi e di sostanza organica. Partendo da Ponente e spostandosi verso Levante le caratteristiche dei suoli cambiano: a Monterosso sono calcarei-argilloso-silicei, a Corniglia e Vernazza sono caratterizzati da massi erratici di arenaria che si presentano disgregati a Manarola e Riomaggiore. Queste variazioni del substrato di coltivazione danno origine a vini differenti per qualità e alcolicità.

I vitigni che rientrano nella base ampelografica dei vini che compongono le DOC sono Bosco, che concorre per un minimo del 40%, Albarola (Bianchetta genovese) e Vermentino (da soli o congiuntamente per un massimo del 40%) ai quali possono essere aggiunti altri vitigni a bacca bianca autorizzati nella provincia di La Spezia.  Sono circa 200 gli ettari destinati alla coltivazione della vite in un territorio che presenta pendenze tra il 35 e il 50% e una parcellizzazione estrema. I piccoli terrazzi, che arrivano a misurare anche solo 5 m2, lambiscono le case dei paesi o contornano le coste fino a pochi metri dal mare. Gli spruzzi delle onde, quando si alzano il libeccio o lo scirocco, arrivano sulle foglie e sui grappoli maturi. I vini che nascono da questo connubio tra mare e terra sono sapidi e profumati di erbe e fiori. Se volete comprenderli veramente, andate nei primi giorni di primavera, camminate nei “carugi” silenziosi, salite più in alto che potete e guardando il mare, respirate il profumo di questa terra sospesa tra cielo e mare.

Alcuni produttori si sono consorziati, altri continuano da soli la lotta per conservare questi lembi di terra che i nostri antenati hanno conquistato con enorme fatica. Tra questi parlo sempre volentieri con Bartalo proprietario con la moglie della cantina Cheo. Ex ordinario di agraria alla facoltà di Pisa, riunisce in sé l’amore per lo studio, la competenza e una passione viscerale per la terra e per il vino. La fatica è tanta, non solo per le normali pratiche colturali e per il riordino dei muretti che ogni anno hanno bisogno di manutenzione, ma è tanta anche la soddisfazione.

Maria Miseferi
mary_mimmi@yahoo.it

 

 

 

 

 

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